Sottrazione internazionale di minori: la residenza abituale del minore secondo la Corte di Cassazione.
L'orientamento della Suprema Corte italiana in materia di sottrazione internazionale e residenza abituale del minore.
La Corte di Cassazione italiana negli ultimi anni ha pronunciato numerose sentenze in materia di sottrazione internazionale di minori. Uno dei punti principali sui quali si è soffermata la Suprema Corte, è quello relativo alla definizione di residenza abituale del minore, essendo questa, il principale motivo di scontro tra le parti coinvolte in un giudizio di sottrazione internazionale.
Innanzitutto, è opportuno ricordare che la Convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori, di cui l'Italia è Paese membro, non ha dato una definizione unitaria del concetto di residenza abituale; di qui, la diversità degli orientamenti giurisprudenziali tra i Paesi che fanno parte della Convenzione.
In Italia, la Corte di Cassazione, grazie ad alcune importanti sentenze pronunciate negli ultimi anni (in particolar modo, le sentenze nn. 17648/2007, 13936/2009 e 6197/2010), è riuscita a tracciare un orientamento unitario, secondo il quale, la Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 ha lo scopo di tutelare il minore contro gli effetti nocivi derivanti da un suo trasferimento o mancato rientro illecito, con esclusivo riferimento alla situazione di mero fatto, sulla base della presunzione che l'interesse del minore coincide con quello di non essere allontanato e di essere immediatamente ricondotto nel luogo in cui svolge la sua abituale vita quotidiana.
Pertanto, la nozione di residenza abituale di cui alla Convenzione dell'Aja, corrisponde ad una situazione di fatto, dovendo per essa intendersi il luogo in cui il minore stesso, in virtù di una durevole e stabile permanenza, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località della sua quotidiana vita di relazione. Tutto ciò a prescindere dall'eventuale diritto soggettivo del genitore di pretendere una diversa collocazione del figlio, o dai progetti di vita, eventualmente concordi, degli adulti.
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